Un interessante articolo tratto da Repubblica del 15 gennaio
Torino, il Pd del Nord sfida Roma"Qui una classe dirigente vera"
di ALBERTO STATERA
TORINO - Duettano sintonici come Castore e Polluce Sergio Chiamparino e Alessandro Profumo nel salone d'onore della Cassa di Risparmio di Torino. Duettano su "I territori del sistema Italia", accompagnati da dotte disquisizioni sulle classi dirigenti locali del professor Aldo Bonomi. Un "assist" politico, nella scelta del tema territoriale, offerto dall'amministratore delegato di Unicredit a "Mister 75 per cento", il sindaco che dopo otto anni di governo della sua città cresce di 15 punti in popolarità (fonte "Il Sole-24 Ore") rispetto ai voti ottenuti l'ultima volta, salvando solitario l'onore del suo partito. O viceversa? I poteri forti bancari non godono al momento di gran salute, non è come quando Massimo D'Alema li incontrò da star a Sesto San Giovanni, ex roccaforte della classe operaia. I poteri deboli del Partito democratico sono proprio allo stremo, in un pantano, tra oligarchie, correnti e veti reciproci, che rasenta la tafazziana (dal Tafazzi, quello che si martellava con una bottiglia le parti sensibili) sindrome autodistruttiva. I "territori" sono forse la via della rigenerazione per sconfiggere i fantasmi del "partito mal riuscito" (copyright Massimo D'Alema), secondo "Mister 75", che vagheggia il Partito Democratico del Nord (Pdn). Incompreso da quelli che definì "vertici distanti e inadeguati", ma incoraggiato longitudinalmente dagli amministratori di centrosinistra - e sono ancora tanti - dal Friuli alla Liguria, con in mezzo pezzi forti come Massimo Cacciari a Venezia e Filippo Penati a Milano.
Sfida da poker estremo, quasi disperato, un Pd del Nord, cioè il partito di un partito che nei fatti ancora non c'è e che forse non ci sarà mai e di un Nord che non c'è e forse non ci sarà mai. Lombardoveneto, Regno Sabaudo, terzo e quarto capitalismo. Nord-Est, Nord-Ovest, postfordismo ed economia liquida dei servizi. In un'accelerazione dei promotori locali d'impronta federalista che, se ci sarà, porterà forse altri voti alla Lega, difficilmente al Pd. Prendete Alitalia e Malpensa, la partita provinciale un po' ottusa della Lega varesina, che a destra e a sinistra replicano pedissequamente anche le borghesie milanesi ad uso di manager incapaci imposti dal potere bossiano. Credete forse che Torino o Venezia tifassero per Malpensa in nome di una solidarietà nordista? Per carità. Chi se ne cale qui della Malpensa, con quarantacinquemila cassintegrati a Torino, non portabagagli aeroportuali ma aristocrazia operaia metalmeccanica, con Sergio Marchionne che, trovato il partner estero (il padrone?), nel 2010 lascerà insalutato ospite la Fiat, dopo aver deciso cosa vuol fare da grande. Con le casse degli enti locali vuote, in nome del federalismo parolaio della Lega, che di aiuti come quelli elargiti a suo tempo per la Fiat non ne possono più dare. Ma Chiamparino ci prova: basta con la giungla dei cacicchi romani - perché sono anche lì, soprattutto lì - ci vuole un colpo di reni del Partito democratico fatto di centralismo ("non aggiungo democratico", ridacchia al richiamo togliattiano) e, al tempo stesso, di massimo possibile decentramento, rispetto a una paralisi del Pd in cui nessuno è in grado di far passare una linea perché tutti detengono inappellabili poteri di veto. Circostanza non prevista o ben sottovalutata soltanto pochi mesi fa quando Walter Veltroni, proprio qui a Torino nella "Sala gialla" del Lingotto, luogo simbolo della "working class", si pose come campione del "problem solving". Dopo la sconfitta elettorale di aprile, i problemi irrisolti, non solo del paese, ma del partito neonato, hanno ammorbato la casa come un gas venefico. "Mister 75" va speranzoso a Roma alla riunione di direzione e ne esce non arrabbiato, proprio imbufalito: "Sembrava un'assemblea dell'Onu, fatta di distinguo diplomatici, di veti, di procedure". Una specie di "attrazione gravitazionale verso il passato". E cerca di consolarsi nella riunione dei dirigenti e degli amministratori democratici di sabato scorso a Milano: "Un'altra musica, una classe dirigente vera, che nessuno al centro sembra capace di valorizzare. Per carità, niente caminetti, ma proviamo almeno a mettere accanto ai leader storici chi rappresenta le poche esperienze politiche positive". Veltroni ha dato un segno con i commissariamenti, ma i commissari si mandano quando i piatti sono rotti per tentare di aggiustare le porcellane. Quando si può, bisogna far qualcosa prima, per evitare che se ne rompano altre, quelle che sono le più pregiate in casa. Con il Pd del Nord, dice la favola che oggi si narra qui. Velleitarismo nordista? Strategia personale del sindaco-star non ricandidabile nel 2011, che cerca di costruire il suo futuro? Delirio di onnipotenza per i sondaggi favorevoli? L'uomo sembra sinceramente strabiliato dalla sordità del suo partito rispetto alle questioni sostanziali: "Possibile che l'opposizione non colga l'enormità di Roma ladrona, dell'esenzione della Capitale passata alla destra del patto di stabilità, del regalo fatto dal governo Berlusconi di 500 milioni, a danno di tutti gli altri? Possibile che questa battaglia la debba fare io, coagulando anche le proteste legittime degli amministratori di destra?". Come il "Sì-Tav", una specie di partito nel partito del partito che Chiamparino propone in Val di Susa: liste comuni tra Partito democratico e Partito delle libertà per contrastare le liste civiche "No-Tav". "Sono d'accordo con Sergio", commenta asciuttamente Enzo Ghigo, capo del Pdl in Piemonte, che potrebbe essere il candidato della destra alla successione nella carica di sindaco di Torino. Ma da Roma Walter, destinatario di lettere-appello, tace. Il "Sì-Tav" sarebbe il definitivo sganciamento da quel poco che resta della sinistra radicale. Meno disponibili di Ghigo i democratici: tra il sindaco autonomo che vive di sua luce nazionale e i vertici locali del partito la diatriba eterna non è proprio sopita, nonostante le recenti rassicurazioni. "Mister 75 per cento" ha sempre un occhiuto censore nel "PEC", acronimo che designa i leader locali del Pd: Roberto Placido, Stefano Esposito e Carlo Chiama. Bazzecole. Solo gelosie politiche, dicono. Nessuna questione immorale, almeno, a sinistra rispetto a Firenze, dove il sindaco Leonardo Domenici ha dovuto affrontare l'onta delle intemperanze verbali sue e di alcuni dei suoi rivelate dalle intercettazioni della magistratura. "Qui la casa è di vetro", garantisce Chiamparino, anche se la premiata ditta Ligresti è al lavoro come a Firenze e in ogni altra città d'Italia per esitare il suo cemento. Il progetto ligrestiano, i cui denari sponsorizzano la prima del Regio, è nell'area chiamata "Borsetto", ma la crisi, per fortuna, ha rallentato il pressing edificatorio. Se mai c'è la grana "Gerbido", la quinta grande opera pubblica italiana aggiudicata nel 2008. Si tratta di un inceneritore da 360 milioni per il quale ha vinto l'appalto, con aziende delle cooperative rosse, la Termomeccanica Ecologia, che i concorrenti francesi hanno contestato. Al vertice della cordata vincitrice siede Enzo Papi, ex dirigente Cogefar, il cui nome ricorderanno i cultori di Mani Pulite, associato a quello di Primo Greganti, che fu tra gli arrestati da Antonio Di Pietro per le tangenti a Dc, Psi e Pci. Tornato oggi sulla scena, Greganti non è certo tra i supporter del sindaco torinese. "Io i poteri forti li vedo in sedi istituzionali nell'interesse dei poteri deboli e così sicuramente non mi appesto se li tocco", solfeggia Chiamparino. Vicini vicini, nel salone d'onore della Crt con mezzo establishment cittadino, sussurrano continuamente il sindaco e il banchiere, Chiamparino e Profumo. Pochi in sala s'interrogano sui "territori". Quasi tutti invece lo fanno sul destino del Partito democratico e, se esisterà ancora, sulla sua leadership. Chiamparino non nega, a chi glielo chiede, di dire che se si perdono le elezioni europee, ma soprattutto amministrative, del prossimo giugno "tutti a casa". E si sarà persa l'ultima spiaggia per recuperare quel che resta dei partiti storici e condurli dalla democrazia dei partiti alla democrazia dei cittadini. L'evoluzione che ha capito Berlusconi e che interpreta purtroppo rozzamente in senso populistico. Magari nasceranno una cosa bianca con Casini e un pezzo del Pd e una cosa rosa con l'ex Pd-Pds-Pci e pezzi cattolici, con un imprinting postcomunista e non riformista-socialdemocratico. E allora il sindaco dice che lui non sarà della partita. Magari non farà il sociologo, ma forse il manager di una super-multiutility che dovrà inevitabilmente nascere nel Nord. Il banchiere, che votò alle primarie Pd, sistemate le non lievi questioni "subprime" che l'hanno assediato, dice agli intimi di voler optare per il volontariato. Ma chissà che, in un'inversione di ruoli con il sindaco, non pensi al volontariato politico. E la lista, dalla Sardegna al Piemonte, s'allunga.
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