sabato 31 gennaio 2009
Articolo del gazzettino sul Consiglio comunale del 29 gennaio
Fontanafredda Borgo Ronche e Regolamento per i servizi alla persona dell’ambito 6.1: questi i punti che hanno animato principalmente la discussione del consiglio comunale di giovedì sera. In merito al primo punto la maggioranza ha approvato una zona commerciale (H22) da realizzare lungo la Statale 13; promotrice la famiglia Zanussi. L’area è infatti incastonata tra la Villa, il nuovo centro residenziale Borgo Ronche e via Ariosto. Cittadini di Ronche e opposizione (nello specifico i consiglieri Franco Anese e Loris Saldan), di fatto chiedevano che venisse formalizzata anche una promessa fatta a suo tempo dalla stessa promotrice in merito al centro di Ronche con la messa a disposizione della frazione di una porzione di terreno da destinare a futura piazza. Come ha ricordato Saldan, «esiste una lettera d’intenti unilaterale fatta dalla proprietà in questo senso». Baviera nel confermare che la lettera del 2003 esiste ha però spiegato «che si tratta appunto di atto unilaterale che ci auguriamo venga mantenuto ma che non ha nulla a che vedere con quanto qui in discussione». Come ha spiegato Bolzonello «l’approvazione della zona commerciale è indipendente da qualsiasi altro possibile ragionamento». La discussione sul regolamento per i servizi alla persona, famiglia e comunità dell’ambito socio assistenziale 6.1 ha registrato invece la vivace diatriba tra Baviera e l’ex assessore Gianfranco Silverii. Quest’ultimo ha accusato il sindaco di essere stato l’unico a sminuire il lavoro dell’ambito «non rendendosi conto che l’unica via per ottenere dei finanziamenti dalla Regione è proprio questo. Contesto poi che parli della mia gente: chi è lui per usare la parola mia?». Baviera in risposta ha confermato «tutte le sue perplessità sulla struttura. Ci siamo ancora perché è vero che è l’unico mezzo per ottenere finanziamenti. Ma posso tranquillamente dire che non sono per niente contento di come viene gestito l’ambito». Anese ha chiesto di creare un gruppo di lavoro, ad esempio a livello di capigruppo, per capire meglio tutto il meccanismo «invitando però a credere di più in questa struttura. Non possiamo parteciparvi seguendo poi politiche nostre : sarà criticabile, ma nemmeno la scelte di affidare tutto ai privati funziona, perché poi siamo noi che paghiamo le rette». Bolzonello nel difendere i criteri (Isee) per l’accesso ai servizi ha spiegato «È stata prodotta una grande macchina burocratica che deve ora trovare la forza di muoversi. Il lato negativo è che la parte burocratica ha più forza di quella politica».
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domenica 25 gennaio 2009
Volantino del PD sull'allargamento della zona industriale di Casut
CASUT
Forza Italia, Alleanza nazionale, Lega e Lista il Ponte hanno votato per l’allargamento della zona industriale di Casut.
Le oltre 350 firme di cittadini di questa frazione, raccolte come “opposizione” all’ulteriore allargamento della zona industriale in centro alla frazione sono diventate carta straccia.
Con l’ampliamento della Scuola elementare non si è trovata una soluzione che permetta di salire e scendere dallo scuolabus in sicurezza.
Giovanni Baviera, Sindaco di Fontanafredda, si presenta nel sito internet del Comune, come colui che considera il proprio compito più importante l’ascolto dei cittadini e l’apertura ai vari consigli e proposte.
Evidentemente, tutto questo per Casut non vale: o a Casut i cittadini parlano sottovoce ed il Sindaco non ha potuto ascoltare, oppure la voce più forte è quella di chi ha interessi economici da difendere, e su questo fronte il Sindaco ci sente benissimo.
Forse ci si deve attendere che la decisione vada nella direzione di rendere un servizio ai cittadini nonostante la loro opinione contraria? Qualcosa in termini di trasparenza e di democrazia non torna.
Forza Italia, Alleanza nazionale, Lega e Lista il Ponte hanno votato per l’allargamento della zona industriale di Casut.
Le oltre 350 firme di cittadini di questa frazione, raccolte come “opposizione” all’ulteriore allargamento della zona industriale in centro alla frazione sono diventate carta straccia.
Con l’ampliamento della Scuola elementare non si è trovata una soluzione che permetta di salire e scendere dallo scuolabus in sicurezza.
Giovanni Baviera, Sindaco di Fontanafredda, si presenta nel sito internet del Comune, come colui che considera il proprio compito più importante l’ascolto dei cittadini e l’apertura ai vari consigli e proposte.
Evidentemente, tutto questo per Casut non vale: o a Casut i cittadini parlano sottovoce ed il Sindaco non ha potuto ascoltare, oppure la voce più forte è quella di chi ha interessi economici da difendere, e su questo fronte il Sindaco ci sente benissimo.
Forse ci si deve attendere che la decisione vada nella direzione di rendere un servizio ai cittadini nonostante la loro opinione contraria? Qualcosa in termini di trasparenza e di democrazia non torna.
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domenica 18 gennaio 2009
Intervista a Veltroni
Veltroni: "Occupiamoci dell'Italia, il governo ha fallito. Basta farsi male da soli"
Intervista a l'Unità: governo fermo su crisi e sicurezzafonte Intervista di Bruno Miserendino - L'Unità In una lunga intervista a l'Unità, pubblicata l'11 gennaio il segretario del PD fa appello ai dirigenti del partito: il governo è in crisi, serve occuparsi dei problemi reali.Pubblichiamo l'intervista integrale.Walter Veltroni: "Il governo ha fallito, ma se il Pd si divide non vinceremo mai"«Faccio ancora una volta un appello al Pd e ai suoi dirigenti: occupiamoci dell'Italia, siamo al paradosso di una destra che attacca il Pd e del Pd che attacca se stesso, per di più nel momento più drammatico, dal punto di vista sociale, della nostra storia più recente. A volte mi sento Penelope», ammette il segretario. Nessuno, dice, abboccherà agli ami lanciati da Cesa e Casini: «Le persone a cui ineducatamente l'Udc si è rivolta sono tra i fondatori del Pd». Veltroni vede «un governo inerte, che da tre mesi non produce più nulla». Fermo sull'economia, senza ruolo e senza iniziativa sulla crisi mediorientale. «Si sono mossi tutti i premier, Berlusconi si occupa delle elezioni in Sardegna. È in perenne campagna elettorale, all'Italia serve un premier non un candidato premier». A Fini che sulla giustizia ha fatto proposte alternative a quelle del governo, Veltroni dice: «È la strada giusta, noi siamo pronti». Segretario, è cominciato l’anno ma il vecchio virus non sembra debellato. Anzi, ormai si parla di scissione, di ritorno alle proprie case d’origine. Questo rischio c’è?«No, non c’è. C’è chi non nasconde questo desiderio, i nostri avversari. È il Pd l’ossessione per chi vuole che questo paese non cambi mai e invece è proprio lì che bisogna investire tutte le nostre energie, perchè mai l’Italia ha conosciuto un partito riformista di queste dimensioni. Dopo l’estate avevamo ripreso lo slancio, quella del 25 ottobre era stata la più grande manifestazione di partito della storia italiana, poi sono riaffiorati vecchie contraddizioni, i personalismi, insomma la situazione che sembra fatta apposta per alimentare la cattiveria dei media, che trovano molto più indolore attaccare noi piuttosto che vigilare sul governo. Ma resto convinto che senza il Partito democratico il riformismo in Italia non vincerà mai. Tutto quello che succede conferma la nostra scelta di investire nella vocazione maggioritaria. C’è ancora una grande spinta nella società per il Pd che abbiamo conosciuto alle primarie e alla manifestazione del 25 ottobre. Però questa spinta richiede a tutto il gruppo dirigente la capacità di tenere in armonia il pluralismo delle idee col senso di responsabilità. L’alternativa è tornare dove si stava prima, rifare due partiti del 16 e del 9%, metter su una coalizione che se per caso vince non riesce a governare. Se c’è questa tentazione, la considero un omicidio nei confronti della speranza riformista. La sfida è cambiare l’Italia. Perché non dobbiamo pensare che in Italia possa esserci, come in altri paesi, una maggioranza riformista e non solo una maggioranza antiberlusconiana? Sviluppiamo il Pd, poi verranno anche le alleanze. In questo anno di lavoro la cosa di cui sono più orgoglioso è aver cambiato l’approccio programmatico del Pd, abbiamo mandato in soffitta vecchie idee su lavoro, scuola, ambiente, pubblica amministrazione, giustizia, abbiamo rifatto l’alfabeto programmatico del centrosinistra, innovando e trovando una sintesi tra le diverse culture. Ma ci ricordiamo cos’erano i vecchi partiti? Erano inadeguati».Eppure il segretario dell’Udc Cesa lancia ami agli ex della Margherita. E anche Casini, a quanto dicono i giornali. Secondo lei qualcuno abbocca?«Trovo assolutamente ineducata la posizione del segretario dell’Udc, un partito che ha sempre avuto da noi rispetto e che altrettanto ne deve a noi. L’Udc sta decidendo di candidarsi in diverse parti d’Italia con la destra e altrove col centrosinistra, è una scelta legittima, che come Casini sa, ho sempre compreso. La sola idea che fondatori del Pd possano essere chiamati in causa per progetti diversi è, come loro stessi hanno detto, una stupidagine. Sono cose buone per il circuito mediatico».Non le viene mai la tentazione mandare tutti al diavolo?«Non ho il diritto di farlo. Anzi, ho più entusiasmo e determinazione che mai. Ho il dovere di corrispondere a un mandato, non solo a quello delle primarie, ma a quello dei 12 milioni che hanno votato per il Pd e per me alle elezioni. La sensazione, questa sì fastidiosa, è di fare il lavoro di Penelope. Ti occupi di economia, Alitalia, giustizia e il giorno dopo scopri che i giornali hanno solo cercato chi può dire una cosa contro il Pd o il segretario».Lei ha fatto un appello all’unità in vista delle elezioni. Ma a volte sembra che qualcuno speri in un pessimo risultato per logorare la leadership.«Ho fatto un appello all’unità, perchè lo vuole il buon senso, lo vorrebbe lo spirito con cui si è conclusa la direzione, ma soprattutto lo chiede il paese. Il mio invito è questo: immergere il partito nella crisi sociale che stiamo vivendo, portarlo fuori da questa interiorizzazione continua che che è una delle malattie profonde del centrosinistra. Un grande partito vive nel rapporto col paese reale, per questo chiedo ora e per i prossimi mesi a tutti i dirigenti locali e nazionali di usare le loro energie per contrastare gli altri e non per alimentare ogni giorno il disegno di chi punta a liquidare il Pd. La società italiana, il mondo occidentale, stanno male come mai da molti anni a questa parte: è il prodotto delle politiche della destra, che ne deve pagare il conto. Tutti i dati sono allarmanti e dicono che questa crisi seria e profonda significherà chiusura di fabbriche, laboratori, negozi. Impressiona invece la totale assenza di iniziativa del governo. Questo fa rabbia: ci sono tutte le condizioni per scatenare una grande iniziativa, e invece... ».Si parla delle beghe interne del Pd.«L’altro giorno abbiamo fatto una conferenza stampa sulla vicenda Alitalia, sui giornali zero. C’erano articoli, ma solo sulle diatribe interne. Mi fa rabbia perchè il governo è già in crisi. Iniziano ad accorgersene persino i commentatori. Guardiamo cosa accade su Malpensa, giustizia, federalismo. Da 3 mesi il governo non produce più nulla. Si è esaurita la fase dei fuochi d’artificio, vanno avanti coi decreti, nonostante i numeri di cui dispongono. È il segno di una difficoltà, e il paese sta cominciando a sentire che è stato preso in giro. Tra l’altro è un governo inerte anche di fronte a una crisi drammatica come quella mediorientale. Nessun peso, nessuna iniziativa, nessun ruolo. Hanno parlato e preso iniziative Sarkozy, Gordon Brown, Zapatero. Non si è avuta notizia di Berlusconi. Lui sembra preoccupato delle elezioni in Sardegna, non della pace in Medio oriente. È in campagna elettorale permanente, il paese avrebbe bisogno di un premier non di un candidato premier».È sicuro che l’opinione pubblica percepisca le difficoltà del governo?«La riduzione delle tasse non c’è stata. Il caso Alitalia-Malpensa appare nella sua cruda verità: una svendita in nome dell’italianità, una delle vicende più scandalose della storia del nostro paese. La sicurezza: per quanto si cerchi di far sparire questi temi dai giornali e per quanto Bruno Vespa non organizzi più trasmissioni sul tema, i fatti avvengono, specie nelle città oggi governate dalla destra. I reati sono aumentati. Immigrazione, i flussi sono aumentati. Sulla crisi Berlusconi è fermo, sventola le collane che acquista, ma questo è ottimismo da carosello».Voi avevate fatto delle proposte. Che fine hanno fatto?«Ci siamo comportati come fa una grande forza nazionale di fronte ad una crisi che sta impoverendo il paese: abbiamo detto e ribadiamo che ci vogliono interventi per i pensionati, per la piccola e media impresa e per garantire quegli operai che perdono il lavoro, magari a 50 anni. Tutto il partito si deve dedicare alla costruzione di un movimento che aiuti i giovani precari italiani a organizzarsi contro quel rischio di licenziamento che si è sostituito alla speranza di stabilizzazione del lavoro. Alla direzione abbiamo avanzato una proposta sul welfare per garantire che un precario che perde il lavoro non resti a zero euro».Invece?«Non se ne è fatto nulla. Ci vuole un altro passo. Serve un piano strategico sulle aree più provate, interventi su precari, pensionati, salari, piccola e media impresa. Un piano di infrastrutture: non è possibile che il nord si blocchi se nevica. Guardiamo cosa ha fatto Obama: mille euro di sconto fiscale per ogni famiglia americana. Quella è la strada giusta, non è demagogia».Secondo lei perchè un governo e un premier che si professano decisionisti fanno poco di fronte alla crisi?«Hanno sbagliato le previsioni e la manovra finanziaria, basta pensare al grottesco degli incentivi sugli straordinari. E poi la loro non è la cultura dell’equità sociale, sono e restano liberisti, nonostante abbiano rispolverato Keynes. Dentro la loro cultura c’è spazio solo per chi ha»Politicamente Berlusconi resta forte.«Il governo pattina. Il premier vive tra gli ultimatum di Lega e An. Aveva annunciato due nuovi ministri e ha dovuto rinunciare, non sono in grado nemmeno di far dimettere il senatore Villari dopo aver preso un impegno con l’opposizione su un nome condiviso».Fini ha fatto delle proposte sulla giustizia: riforma condivisa, no alla seprazione delle carriere. Che direte?«Il presidente Napolitano ha più volte rivolto un appello affinché si cooperi per affrontare in Parlamento le grandi questioni del Paese. Io sono in sintonia con quell’appello, lo ero in campagna elettorale lo sono restato dopo. Il presidente Fini ha avanzato proposte sulla giustizia molto diverse dalle urla confuse del governo. Alcune di queste coincidono con le nostre, ispirate al principio di una giustizia che funzioni per cittadini e imprese, fondata su indipendenza della magistratura e garanzia dei diritti. Su questa base si potrà lavorare e confermo la nostra disponibilità a farlo. Come pure sul pacchetto di proposte di riforme istituzionali elaborate la scorsa legislatura: riduzione del numero dei parlamentari, una Camera legislativa, Senato delle Regioni. Si può approvare un pacchetto innovativo, che per altro considero indissolubilmente legato alla discussione sul federalismo alla quale abbiamo responsabilmente contribuito».
Intervista a l'Unità: governo fermo su crisi e sicurezzafonte Intervista di Bruno Miserendino - L'Unità In una lunga intervista a l'Unità, pubblicata l'11 gennaio il segretario del PD fa appello ai dirigenti del partito: il governo è in crisi, serve occuparsi dei problemi reali.Pubblichiamo l'intervista integrale.Walter Veltroni: "Il governo ha fallito, ma se il Pd si divide non vinceremo mai"«Faccio ancora una volta un appello al Pd e ai suoi dirigenti: occupiamoci dell'Italia, siamo al paradosso di una destra che attacca il Pd e del Pd che attacca se stesso, per di più nel momento più drammatico, dal punto di vista sociale, della nostra storia più recente. A volte mi sento Penelope», ammette il segretario. Nessuno, dice, abboccherà agli ami lanciati da Cesa e Casini: «Le persone a cui ineducatamente l'Udc si è rivolta sono tra i fondatori del Pd». Veltroni vede «un governo inerte, che da tre mesi non produce più nulla». Fermo sull'economia, senza ruolo e senza iniziativa sulla crisi mediorientale. «Si sono mossi tutti i premier, Berlusconi si occupa delle elezioni in Sardegna. È in perenne campagna elettorale, all'Italia serve un premier non un candidato premier». A Fini che sulla giustizia ha fatto proposte alternative a quelle del governo, Veltroni dice: «È la strada giusta, noi siamo pronti». Segretario, è cominciato l’anno ma il vecchio virus non sembra debellato. Anzi, ormai si parla di scissione, di ritorno alle proprie case d’origine. Questo rischio c’è?«No, non c’è. C’è chi non nasconde questo desiderio, i nostri avversari. È il Pd l’ossessione per chi vuole che questo paese non cambi mai e invece è proprio lì che bisogna investire tutte le nostre energie, perchè mai l’Italia ha conosciuto un partito riformista di queste dimensioni. Dopo l’estate avevamo ripreso lo slancio, quella del 25 ottobre era stata la più grande manifestazione di partito della storia italiana, poi sono riaffiorati vecchie contraddizioni, i personalismi, insomma la situazione che sembra fatta apposta per alimentare la cattiveria dei media, che trovano molto più indolore attaccare noi piuttosto che vigilare sul governo. Ma resto convinto che senza il Partito democratico il riformismo in Italia non vincerà mai. Tutto quello che succede conferma la nostra scelta di investire nella vocazione maggioritaria. C’è ancora una grande spinta nella società per il Pd che abbiamo conosciuto alle primarie e alla manifestazione del 25 ottobre. Però questa spinta richiede a tutto il gruppo dirigente la capacità di tenere in armonia il pluralismo delle idee col senso di responsabilità. L’alternativa è tornare dove si stava prima, rifare due partiti del 16 e del 9%, metter su una coalizione che se per caso vince non riesce a governare. Se c’è questa tentazione, la considero un omicidio nei confronti della speranza riformista. La sfida è cambiare l’Italia. Perché non dobbiamo pensare che in Italia possa esserci, come in altri paesi, una maggioranza riformista e non solo una maggioranza antiberlusconiana? Sviluppiamo il Pd, poi verranno anche le alleanze. In questo anno di lavoro la cosa di cui sono più orgoglioso è aver cambiato l’approccio programmatico del Pd, abbiamo mandato in soffitta vecchie idee su lavoro, scuola, ambiente, pubblica amministrazione, giustizia, abbiamo rifatto l’alfabeto programmatico del centrosinistra, innovando e trovando una sintesi tra le diverse culture. Ma ci ricordiamo cos’erano i vecchi partiti? Erano inadeguati».Eppure il segretario dell’Udc Cesa lancia ami agli ex della Margherita. E anche Casini, a quanto dicono i giornali. Secondo lei qualcuno abbocca?«Trovo assolutamente ineducata la posizione del segretario dell’Udc, un partito che ha sempre avuto da noi rispetto e che altrettanto ne deve a noi. L’Udc sta decidendo di candidarsi in diverse parti d’Italia con la destra e altrove col centrosinistra, è una scelta legittima, che come Casini sa, ho sempre compreso. La sola idea che fondatori del Pd possano essere chiamati in causa per progetti diversi è, come loro stessi hanno detto, una stupidagine. Sono cose buone per il circuito mediatico».Non le viene mai la tentazione mandare tutti al diavolo?«Non ho il diritto di farlo. Anzi, ho più entusiasmo e determinazione che mai. Ho il dovere di corrispondere a un mandato, non solo a quello delle primarie, ma a quello dei 12 milioni che hanno votato per il Pd e per me alle elezioni. La sensazione, questa sì fastidiosa, è di fare il lavoro di Penelope. Ti occupi di economia, Alitalia, giustizia e il giorno dopo scopri che i giornali hanno solo cercato chi può dire una cosa contro il Pd o il segretario».Lei ha fatto un appello all’unità in vista delle elezioni. Ma a volte sembra che qualcuno speri in un pessimo risultato per logorare la leadership.«Ho fatto un appello all’unità, perchè lo vuole il buon senso, lo vorrebbe lo spirito con cui si è conclusa la direzione, ma soprattutto lo chiede il paese. Il mio invito è questo: immergere il partito nella crisi sociale che stiamo vivendo, portarlo fuori da questa interiorizzazione continua che che è una delle malattie profonde del centrosinistra. Un grande partito vive nel rapporto col paese reale, per questo chiedo ora e per i prossimi mesi a tutti i dirigenti locali e nazionali di usare le loro energie per contrastare gli altri e non per alimentare ogni giorno il disegno di chi punta a liquidare il Pd. La società italiana, il mondo occidentale, stanno male come mai da molti anni a questa parte: è il prodotto delle politiche della destra, che ne deve pagare il conto. Tutti i dati sono allarmanti e dicono che questa crisi seria e profonda significherà chiusura di fabbriche, laboratori, negozi. Impressiona invece la totale assenza di iniziativa del governo. Questo fa rabbia: ci sono tutte le condizioni per scatenare una grande iniziativa, e invece... ».Si parla delle beghe interne del Pd.«L’altro giorno abbiamo fatto una conferenza stampa sulla vicenda Alitalia, sui giornali zero. C’erano articoli, ma solo sulle diatribe interne. Mi fa rabbia perchè il governo è già in crisi. Iniziano ad accorgersene persino i commentatori. Guardiamo cosa accade su Malpensa, giustizia, federalismo. Da 3 mesi il governo non produce più nulla. Si è esaurita la fase dei fuochi d’artificio, vanno avanti coi decreti, nonostante i numeri di cui dispongono. È il segno di una difficoltà, e il paese sta cominciando a sentire che è stato preso in giro. Tra l’altro è un governo inerte anche di fronte a una crisi drammatica come quella mediorientale. Nessun peso, nessuna iniziativa, nessun ruolo. Hanno parlato e preso iniziative Sarkozy, Gordon Brown, Zapatero. Non si è avuta notizia di Berlusconi. Lui sembra preoccupato delle elezioni in Sardegna, non della pace in Medio oriente. È in campagna elettorale permanente, il paese avrebbe bisogno di un premier non di un candidato premier».È sicuro che l’opinione pubblica percepisca le difficoltà del governo?«La riduzione delle tasse non c’è stata. Il caso Alitalia-Malpensa appare nella sua cruda verità: una svendita in nome dell’italianità, una delle vicende più scandalose della storia del nostro paese. La sicurezza: per quanto si cerchi di far sparire questi temi dai giornali e per quanto Bruno Vespa non organizzi più trasmissioni sul tema, i fatti avvengono, specie nelle città oggi governate dalla destra. I reati sono aumentati. Immigrazione, i flussi sono aumentati. Sulla crisi Berlusconi è fermo, sventola le collane che acquista, ma questo è ottimismo da carosello».Voi avevate fatto delle proposte. Che fine hanno fatto?«Ci siamo comportati come fa una grande forza nazionale di fronte ad una crisi che sta impoverendo il paese: abbiamo detto e ribadiamo che ci vogliono interventi per i pensionati, per la piccola e media impresa e per garantire quegli operai che perdono il lavoro, magari a 50 anni. Tutto il partito si deve dedicare alla costruzione di un movimento che aiuti i giovani precari italiani a organizzarsi contro quel rischio di licenziamento che si è sostituito alla speranza di stabilizzazione del lavoro. Alla direzione abbiamo avanzato una proposta sul welfare per garantire che un precario che perde il lavoro non resti a zero euro».Invece?«Non se ne è fatto nulla. Ci vuole un altro passo. Serve un piano strategico sulle aree più provate, interventi su precari, pensionati, salari, piccola e media impresa. Un piano di infrastrutture: non è possibile che il nord si blocchi se nevica. Guardiamo cosa ha fatto Obama: mille euro di sconto fiscale per ogni famiglia americana. Quella è la strada giusta, non è demagogia».Secondo lei perchè un governo e un premier che si professano decisionisti fanno poco di fronte alla crisi?«Hanno sbagliato le previsioni e la manovra finanziaria, basta pensare al grottesco degli incentivi sugli straordinari. E poi la loro non è la cultura dell’equità sociale, sono e restano liberisti, nonostante abbiano rispolverato Keynes. Dentro la loro cultura c’è spazio solo per chi ha»Politicamente Berlusconi resta forte.«Il governo pattina. Il premier vive tra gli ultimatum di Lega e An. Aveva annunciato due nuovi ministri e ha dovuto rinunciare, non sono in grado nemmeno di far dimettere il senatore Villari dopo aver preso un impegno con l’opposizione su un nome condiviso».Fini ha fatto delle proposte sulla giustizia: riforma condivisa, no alla seprazione delle carriere. Che direte?«Il presidente Napolitano ha più volte rivolto un appello affinché si cooperi per affrontare in Parlamento le grandi questioni del Paese. Io sono in sintonia con quell’appello, lo ero in campagna elettorale lo sono restato dopo. Il presidente Fini ha avanzato proposte sulla giustizia molto diverse dalle urla confuse del governo. Alcune di queste coincidono con le nostre, ispirate al principio di una giustizia che funzioni per cittadini e imprese, fondata su indipendenza della magistratura e garanzia dei diritti. Su questa base si potrà lavorare e confermo la nostra disponibilità a farlo. Come pure sul pacchetto di proposte di riforme istituzionali elaborate la scorsa legislatura: riduzione del numero dei parlamentari, una Camera legislativa, Senato delle Regioni. Si può approvare un pacchetto innovativo, che per altro considero indissolubilmente legato alla discussione sul federalismo alla quale abbiamo responsabilmente contribuito».
La coerenza degli altri
La battaglia del Partito Democratico per liberare dai vincoli del patto di stabilità le risorse per investimenti dei Comuni ben gestiti è sacrosanta innanzitutto perchè valorizza le buone gestioni del territorio e aiuta in questo momento di crisi a sbloccare cantieri e opere pubbliche locali. Prendiamo atto invece dell'incoerenza della Lega che a Roma vota a favore del decreto che vincola pesantamente gli Enti locali, salvo poi astenersi sul nostro Odg e far dichiarare ai suoi amministratori il dissenso più netto. Delle due l'una. Emagari già che ci sono spieghino ai cittadini del nord perchè sino ad ora hanno votato a favore degli stanziamenti straordinari a comuni "amici" non certo virtuosi come Catania e Roma. Quando si dice: "predicare bene e razzolare male".
Maurizio Martina
segretario regionale Lombardia del PD
Maurizio Martina
segretario regionale Lombardia del PD
Un interessante articolo di Maurizio Martina, segretario regionale della Lombardia del PD sull'aereoporto di Malpensa
La vicenda di Malpensa e della nuova Alitalia, con le sue implicazioni per Milano e la Lombardia, merita di essere giudicata con attenzione soprattutto dai cittadini. Rappresenta probabilmente l’emblema delle debolezze di questo paese, ma questa volta a partire proprio dal “grande” nord. Nemmeno un anno fa, verso la prima ipotesi di accordo Alitalia-AirFrance, si è giocata contro il governo di centrosinistra una parte importante della campagna elettorale che portò alla vittoria di Silvio Berlusconi. Per settimane dai Palazzi più importanti di Milano e dalle Istituzioni lombarde, decine di autorevoli esponenti del centrodestra lanciarono i loro strali contro qualsiasi accordo con la compagnia d’oltralpe. La Lega Nord, fiutando il vento elettorale, pensò bene di organizzare anche un presidio direttamente in aeroporto, con tanto di slogan contro “AliRoma”. Si mosse una parte della politica. Ma si mossero anche settori dell’economia, dell’industria, della finanza locale e qualificati opinionisti. Non è passato nemmeno un anno da tutto questo e oggi ci troviamo ad assistere ad una scena che molti, non ha torto, definirebbero tragicomica se non avesse pesanti ripercussioni per centinaia di lavoratori e famiglie. La nuova Alitalia sta per siglare l’accordo proprio con AirFrance a condizioni decisamente peggiori, sul piano dei costi e sulle strategie di sviluppo per Milano, di quelle della prima ipotesi. Per difendere il totem dell’italianità sono stati usati, in un momento di grave crisi, ben 4 miliardi di euro presi dalle tasche dei cittadini e qualsiasi logica concorrenziale è stata sospesa. La nuova compagnia ridurrà ulteriormente il proprio impegno su Malpensa; basta rilevare che ad oggi prevede tre soli voli intercontinentali. Tutto questo accade senza che chi si unì al coro dello scandalo un anno fa, a partire da tanti imprenditori e uomini della finanza, batta ciglio. Le recenti dichiarazione del Sindaco Moratti oggettivamente non bastano mentre merita sicuramente una citazione l’On. Roberto Castelli che continua a parlare della vicenda come se fosse appena sbarcato da Marte, dimenticando di essere, proprio lui, l’unico Sottosegretario lombardo alle Infrastrutture. Questo è quello che abbiamo visto nelle giornate scorse e immaginiamo possa bastare ai cittadini per farsi una opinione sui comportamenti dei diversi attori coinvolti. Ma ora cosa si può fare per il futuro di Malpensa? Noi vogliamo tenere fede al ragionamento che abbiamo sempre fatto, ieri con il centrosinistra al governo ed oggi con il centrodestra: bisogna separare il destino di Malpensa da quello della compagnia della Magliana. Non basta sperare in Lufthansa. Bisogna agire subito per garantire alla compagnia tedesca, così come ad altri vettori internazionali, di potersi misurare ad armi pari con lo sviluppo del nostro scalo più importante. E per farlo diventa decisiva la battaglia sulla rapida riassegnazione degli slot che non verranno utilizzati da Alitalia e sui nuovi accordi per liberalizzare i diritto di volo. Non lo diciamo da oggi, lo proponiamo da mesi. L’On. Castelli e gli altri hanno intenzione di aspettare ancora o intendono muoversi su questo punto cruciale? Purtroppo non è ancora chiaro. Rimane il fatto che a noi lombardi questa vicenda dovrebbe insegnare alcune cose: non sempre, in politica, chi urla per la difesa degli interessi del territorio che dice di voler rappresentare poi agisce di conseguenza. E non sempre, in economia, chi si fa paladino a parole della concorrenza e del mercato è pronto a comportarsi di conseguenza quando dovrebbe. Questa volta però non succede solo a Roma. Questa volta accade anche a Milano. Maurizio Martina
Documento dell' Assemblea provinciale del PD
I democratici della provincia di Pordenone manifestano viva preoccupazione per l’aggravarsi della crisi economica che colpisce il tessuto produttivo della Destra Tagliamento con il rallentamento di molte attività, la crescita significativa della cassa integrazione e in vari casi il licenziamento delle maestranze. Il PD esprime solidarietà ai lavoratori coinvolti in situazioni di crisi aziendali, è al fianco delle maestranze e degli imprenditori impegnati nel superamento di una difficile fase economica ed esprime un giudizio severo sulle politiche della giunta regionale e del governo nazionale.
· Tanto l’esecutivo Tondo che il governo Berlusconi sono incapaci di attivare vere politiche anticicliche in grado di rappresentare un efficace strumento che affianchi famiglie ed imprese nello sforzo per andare oltre la attuale difficile congiuntura.
· E’ urgente che la giunta regionale vari un programma efficace per contrastare la crisi economica. E’ urgente in particolare che si sfrutti la specialità della Regione in materia di opere pubbliche per imprimere una vistosa accelerazione all’impiego di consistenti quantità di risorse già stanziate per la realizzazione di infrastrutture. Proprio dai programmi infrastrutturali della Regione può venire un aiuto concreto al superamento della crisi. Ciò implica in primo luogo la approvazione di norme che semplifichino e velocizzino veramente tempi e procedure degli appalti. Servono anche azioni regionali in materia di ammortizzatori sociali in grado di favorire il sostegno al reddito di coloro che hanno perso il posto di lavoro nonché la loro riconversione professionale attraverso opportuni percorsi formativi. Servono inoltre misure per modernizzare e riformare il sistema della mobilità delle persone e delle merci fondate su consistenti investimenti che consentano la riduzione dei costi economici ed ambientali della mobilità. Va sottolineata da ultimo l’esigenza di azioni che concentrino adeguati mezzi finanziari a sostegno dei programmi di innovazione delle imprese.
· La giunta regionale di Centrodestra propone una azione di governo inadeguata non solo sul versante dell’economia. La vicenda dell’ospedale di Pordenone è esemplare del modo con il quale l’esecutivo Tondo sta minando dalle fondamenta l’avanzato sistema di welfare allestito dalla giunta di centrosinistra che ha guidato la Regione dal 2003 al 2008. Non c’è solo la cancellazione delle norme per il sostegno alle famiglie con il cosiddetto reddito di cittadinanza o per avanzate politiche di integrazione degli immigrati. C’è anche la controriforma sanitaria che si manifesta con la scelta di costruire l’ospedale di Pordenone ricorrendo alla finanza di progetto in ragione del 50% del costo dell’opera, il che significa privatizzazione estesa delle prestazioni sanitarie del più rilevante nosocomio della Destra Tagliamento. Si tratta di una scelta molto grave. Il Partito democratico ribadisce la contrarietà alla privatizzazione del più importante ospedale della provincia.
· Il profilo del governo Berlusconi e della giunta Tondo attestano la inadeguatezza del Centrodestra rispetto ai problemi delle famiglie e delle imprese. Proprio per questo è necessario che ci sia una estesa mobilitazione dei democratici per il migliore successo del Pd e del centrosinistra in occasione delle elezioni provinciali e comunali di giugno.
· In tale quadro il PD conferma l’obiettivo costituire vaste coalizioni che sappiano andare anche oltre i tradizionali confini del centrosinistra. Proprio per tale scopo i Democratici hanno a suo tempo proposto alle altre forze del centrosinistra di indire elezioni primarie di coalizione per facilitare una comune e condivisa scelta del candidato presidente. Il dialogo con le forze del Centrosinistra non ha tuttavia consentito sin qui di trovare una intesa sul ricorso alle primarie di coalizione ragion per cui i Democratici della provincia di Pordenone decidono di indire elezioni primarie di partito per il giorno otto marzo 2009. Ciò non impedirà in ogni caso di convertire le primarie di partito dell’otto marzo in primarie di una ampia coalizione qualora sopraggiunga in tempi utili una disponibilità in tale senso. Nel frattempo prosegue anche il confronto programmatico.
· L’Assemblea provinciale del Pd fa appello a tutti i democratici affinché le elezioni primarie diventino una opportunità di iniziativa politica per contrastare il Centrodestra, rafforzare la coesione del partito, estendere il radicamento dei circoli.
· L’esecutivo provinciale definirà il programma organizzativo delle primarie e la competente commissione ne definirà le regole.
Pordedone 16 gennaio 2009
· Tanto l’esecutivo Tondo che il governo Berlusconi sono incapaci di attivare vere politiche anticicliche in grado di rappresentare un efficace strumento che affianchi famiglie ed imprese nello sforzo per andare oltre la attuale difficile congiuntura.
· E’ urgente che la giunta regionale vari un programma efficace per contrastare la crisi economica. E’ urgente in particolare che si sfrutti la specialità della Regione in materia di opere pubbliche per imprimere una vistosa accelerazione all’impiego di consistenti quantità di risorse già stanziate per la realizzazione di infrastrutture. Proprio dai programmi infrastrutturali della Regione può venire un aiuto concreto al superamento della crisi. Ciò implica in primo luogo la approvazione di norme che semplifichino e velocizzino veramente tempi e procedure degli appalti. Servono anche azioni regionali in materia di ammortizzatori sociali in grado di favorire il sostegno al reddito di coloro che hanno perso il posto di lavoro nonché la loro riconversione professionale attraverso opportuni percorsi formativi. Servono inoltre misure per modernizzare e riformare il sistema della mobilità delle persone e delle merci fondate su consistenti investimenti che consentano la riduzione dei costi economici ed ambientali della mobilità. Va sottolineata da ultimo l’esigenza di azioni che concentrino adeguati mezzi finanziari a sostegno dei programmi di innovazione delle imprese.
· La giunta regionale di Centrodestra propone una azione di governo inadeguata non solo sul versante dell’economia. La vicenda dell’ospedale di Pordenone è esemplare del modo con il quale l’esecutivo Tondo sta minando dalle fondamenta l’avanzato sistema di welfare allestito dalla giunta di centrosinistra che ha guidato la Regione dal 2003 al 2008. Non c’è solo la cancellazione delle norme per il sostegno alle famiglie con il cosiddetto reddito di cittadinanza o per avanzate politiche di integrazione degli immigrati. C’è anche la controriforma sanitaria che si manifesta con la scelta di costruire l’ospedale di Pordenone ricorrendo alla finanza di progetto in ragione del 50% del costo dell’opera, il che significa privatizzazione estesa delle prestazioni sanitarie del più rilevante nosocomio della Destra Tagliamento. Si tratta di una scelta molto grave. Il Partito democratico ribadisce la contrarietà alla privatizzazione del più importante ospedale della provincia.
· Il profilo del governo Berlusconi e della giunta Tondo attestano la inadeguatezza del Centrodestra rispetto ai problemi delle famiglie e delle imprese. Proprio per questo è necessario che ci sia una estesa mobilitazione dei democratici per il migliore successo del Pd e del centrosinistra in occasione delle elezioni provinciali e comunali di giugno.
· In tale quadro il PD conferma l’obiettivo costituire vaste coalizioni che sappiano andare anche oltre i tradizionali confini del centrosinistra. Proprio per tale scopo i Democratici hanno a suo tempo proposto alle altre forze del centrosinistra di indire elezioni primarie di coalizione per facilitare una comune e condivisa scelta del candidato presidente. Il dialogo con le forze del Centrosinistra non ha tuttavia consentito sin qui di trovare una intesa sul ricorso alle primarie di coalizione ragion per cui i Democratici della provincia di Pordenone decidono di indire elezioni primarie di partito per il giorno otto marzo 2009. Ciò non impedirà in ogni caso di convertire le primarie di partito dell’otto marzo in primarie di una ampia coalizione qualora sopraggiunga in tempi utili una disponibilità in tale senso. Nel frattempo prosegue anche il confronto programmatico.
· L’Assemblea provinciale del Pd fa appello a tutti i democratici affinché le elezioni primarie diventino una opportunità di iniziativa politica per contrastare il Centrodestra, rafforzare la coesione del partito, estendere il radicamento dei circoli.
· L’esecutivo provinciale definirà il programma organizzativo delle primarie e la competente commissione ne definirà le regole.
Pordedone 16 gennaio 2009
Primarie provinciali
Dal Gazzettino del 18/01/2009
Pd, sì alle primarieanche senza alleati
Zanin e Chiarotto, sfida l’otto marzo
Pordenone Nessuna deroga. Gli ordini che arrivano da Roma devono essere rispettati. E così il Partito Democratico della provincia, riunito l’altra sera in assemblea, dovrà tenere le primarie. E poco importa se i potenziali alleati (Cittadini, Italia dei Valori e Psi) non hanno alcuna intenzione di sottoporsi alla prova pre-elettorale. Il Pd, insomma, ha stabilito la data nella quale Giorgio Zanin e Sergio Chiarotto, gli unici due candidati che hanno consegnante le proprio candidature, si sottoporranno al voto interno l’8 marzo. «È quanto abbiamo deciso trale altre cose l’altra sera - ha spiegato la segretaria, Francesca Papais - con un voto praticamente all’unanimità». Unica astensione quella di Fabrizio Venier. Si tratta, quindi, di uno strappo rispetto alle posizioni degli alleati visto che nel corso dell’incontro che si era tenuto a metà settimana le posizioni emerse erano differenti. «L’otto marzo - tiene a precisare Francesca Papais - si faranno le primarie di partito, ma se dal tavolo delle trattative emergerà da parte degli alleati la volontà di partecipare con candidati propri, le primarie diventeranno subito di coalizione. Da parte nostra, dunque, c’è tutta la disponibilità alla collaborazione. Di fissato c’è solo la data». In ogni caso se il Pd si confronterà "da solo" il vincitore sarà il candidato alle provinciali del Partito Democratico e se gli alleati rinunceranno al confronto elettorale interno o accetteranno il nome, oppure andranno da soli, esattamente come farà la squadra di Veltroni. Ma dall’assemblea sono emerse anche altre indicazioni che sono poi state inserite nel documento. Uno dei punti forti ha riguardato, infatti, la totale contrarietà alla realizzazione del nuovo ospedale di Pordenone con la formula della finanza di progetto, ossia con la partecipazione dei provati al 50 per cento del capitale (80 milioni di euro). Una posizione, quella approvata l’altra sera, che va a sommarsi al documento già votato dal Pd che bocciava in toto la scelta del centrodestra di cambiare il sito. A votare il documento dell’altra sera anche il sindaco Sergio Bolzonello che durante il dibattito si era espresso per un nuovo tentativo per sospendere le primarie. Alla fine, comunque, il sindaco ha chiesto e ottenuto di inserire nel documento anche alcune posizioni sul fronte delle crisi economica e sulla ricette che Governo e Regione dovrebbero adottare per cercare di arginarla. Il sindaco, votando il documento, ha anche accettato la contrarietà per la realizzazione dell’ospedale alla formula della finanza di progetto. «Ho anche sottolineato però - ha spiegato lo stesso Bolzonello - che quel passaggio su un documento che doveva avere altri scopi, non aveva senso. Come la pensa il sottoscritto sul fronte del nuovo ospedale lo sanno tutti». C’è infine un altro dato politico emerso l’altra sera e che riguarda proprio l’area che rappresenta uno dei candidati, Giorgio Zanin. Mentre il sindaco si è detto contrario alle primarie (pur avendole alla fine accettate), Zanin ha espresso un parere diverso. «Temere questo appuntamento non è un buon servizio al partito, tanto meno in questa fase delicata della vita politica italiana. Occorre piuttosto che unitariamente tutto il partito colga questa occasione per diventare sempre di più ciò che ha detto di voler essere
Pd, sì alle primarieanche senza alleati
Zanin e Chiarotto, sfida l’otto marzo
Pordenone Nessuna deroga. Gli ordini che arrivano da Roma devono essere rispettati. E così il Partito Democratico della provincia, riunito l’altra sera in assemblea, dovrà tenere le primarie. E poco importa se i potenziali alleati (Cittadini, Italia dei Valori e Psi) non hanno alcuna intenzione di sottoporsi alla prova pre-elettorale. Il Pd, insomma, ha stabilito la data nella quale Giorgio Zanin e Sergio Chiarotto, gli unici due candidati che hanno consegnante le proprio candidature, si sottoporranno al voto interno l’8 marzo. «È quanto abbiamo deciso trale altre cose l’altra sera - ha spiegato la segretaria, Francesca Papais - con un voto praticamente all’unanimità». Unica astensione quella di Fabrizio Venier. Si tratta, quindi, di uno strappo rispetto alle posizioni degli alleati visto che nel corso dell’incontro che si era tenuto a metà settimana le posizioni emerse erano differenti. «L’otto marzo - tiene a precisare Francesca Papais - si faranno le primarie di partito, ma se dal tavolo delle trattative emergerà da parte degli alleati la volontà di partecipare con candidati propri, le primarie diventeranno subito di coalizione. Da parte nostra, dunque, c’è tutta la disponibilità alla collaborazione. Di fissato c’è solo la data». In ogni caso se il Pd si confronterà "da solo" il vincitore sarà il candidato alle provinciali del Partito Democratico e se gli alleati rinunceranno al confronto elettorale interno o accetteranno il nome, oppure andranno da soli, esattamente come farà la squadra di Veltroni. Ma dall’assemblea sono emerse anche altre indicazioni che sono poi state inserite nel documento. Uno dei punti forti ha riguardato, infatti, la totale contrarietà alla realizzazione del nuovo ospedale di Pordenone con la formula della finanza di progetto, ossia con la partecipazione dei provati al 50 per cento del capitale (80 milioni di euro). Una posizione, quella approvata l’altra sera, che va a sommarsi al documento già votato dal Pd che bocciava in toto la scelta del centrodestra di cambiare il sito. A votare il documento dell’altra sera anche il sindaco Sergio Bolzonello che durante il dibattito si era espresso per un nuovo tentativo per sospendere le primarie. Alla fine, comunque, il sindaco ha chiesto e ottenuto di inserire nel documento anche alcune posizioni sul fronte delle crisi economica e sulla ricette che Governo e Regione dovrebbero adottare per cercare di arginarla. Il sindaco, votando il documento, ha anche accettato la contrarietà per la realizzazione dell’ospedale alla formula della finanza di progetto. «Ho anche sottolineato però - ha spiegato lo stesso Bolzonello - che quel passaggio su un documento che doveva avere altri scopi, non aveva senso. Come la pensa il sottoscritto sul fronte del nuovo ospedale lo sanno tutti». C’è infine un altro dato politico emerso l’altra sera e che riguarda proprio l’area che rappresenta uno dei candidati, Giorgio Zanin. Mentre il sindaco si è detto contrario alle primarie (pur avendole alla fine accettate), Zanin ha espresso un parere diverso. «Temere questo appuntamento non è un buon servizio al partito, tanto meno in questa fase delicata della vita politica italiana. Occorre piuttosto che unitariamente tutto il partito colga questa occasione per diventare sempre di più ciò che ha detto di voler essere
giovedì 15 gennaio 2009
Idee per un Partito nuovo
Un interessante articolo tratto da Repubblica del 15 gennaio
Torino, il Pd del Nord sfida Roma"Qui una classe dirigente vera"
di ALBERTO STATERA
TORINO - Duettano sintonici come Castore e Polluce Sergio Chiamparino e Alessandro Profumo nel salone d'onore della Cassa di Risparmio di Torino. Duettano su "I territori del sistema Italia", accompagnati da dotte disquisizioni sulle classi dirigenti locali del professor Aldo Bonomi. Un "assist" politico, nella scelta del tema territoriale, offerto dall'amministratore delegato di Unicredit a "Mister 75 per cento", il sindaco che dopo otto anni di governo della sua città cresce di 15 punti in popolarità (fonte "Il Sole-24 Ore") rispetto ai voti ottenuti l'ultima volta, salvando solitario l'onore del suo partito. O viceversa? I poteri forti bancari non godono al momento di gran salute, non è come quando Massimo D'Alema li incontrò da star a Sesto San Giovanni, ex roccaforte della classe operaia. I poteri deboli del Partito democratico sono proprio allo stremo, in un pantano, tra oligarchie, correnti e veti reciproci, che rasenta la tafazziana (dal Tafazzi, quello che si martellava con una bottiglia le parti sensibili) sindrome autodistruttiva. I "territori" sono forse la via della rigenerazione per sconfiggere i fantasmi del "partito mal riuscito" (copyright Massimo D'Alema), secondo "Mister 75", che vagheggia il Partito Democratico del Nord (Pdn). Incompreso da quelli che definì "vertici distanti e inadeguati", ma incoraggiato longitudinalmente dagli amministratori di centrosinistra - e sono ancora tanti - dal Friuli alla Liguria, con in mezzo pezzi forti come Massimo Cacciari a Venezia e Filippo Penati a Milano.
Sfida da poker estremo, quasi disperato, un Pd del Nord, cioè il partito di un partito che nei fatti ancora non c'è e che forse non ci sarà mai e di un Nord che non c'è e forse non ci sarà mai. Lombardoveneto, Regno Sabaudo, terzo e quarto capitalismo. Nord-Est, Nord-Ovest, postfordismo ed economia liquida dei servizi. In un'accelerazione dei promotori locali d'impronta federalista che, se ci sarà, porterà forse altri voti alla Lega, difficilmente al Pd. Prendete Alitalia e Malpensa, la partita provinciale un po' ottusa della Lega varesina, che a destra e a sinistra replicano pedissequamente anche le borghesie milanesi ad uso di manager incapaci imposti dal potere bossiano. Credete forse che Torino o Venezia tifassero per Malpensa in nome di una solidarietà nordista? Per carità. Chi se ne cale qui della Malpensa, con quarantacinquemila cassintegrati a Torino, non portabagagli aeroportuali ma aristocrazia operaia metalmeccanica, con Sergio Marchionne che, trovato il partner estero (il padrone?), nel 2010 lascerà insalutato ospite la Fiat, dopo aver deciso cosa vuol fare da grande. Con le casse degli enti locali vuote, in nome del federalismo parolaio della Lega, che di aiuti come quelli elargiti a suo tempo per la Fiat non ne possono più dare. Ma Chiamparino ci prova: basta con la giungla dei cacicchi romani - perché sono anche lì, soprattutto lì - ci vuole un colpo di reni del Partito democratico fatto di centralismo ("non aggiungo democratico", ridacchia al richiamo togliattiano) e, al tempo stesso, di massimo possibile decentramento, rispetto a una paralisi del Pd in cui nessuno è in grado di far passare una linea perché tutti detengono inappellabili poteri di veto. Circostanza non prevista o ben sottovalutata soltanto pochi mesi fa quando Walter Veltroni, proprio qui a Torino nella "Sala gialla" del Lingotto, luogo simbolo della "working class", si pose come campione del "problem solving". Dopo la sconfitta elettorale di aprile, i problemi irrisolti, non solo del paese, ma del partito neonato, hanno ammorbato la casa come un gas venefico. "Mister 75" va speranzoso a Roma alla riunione di direzione e ne esce non arrabbiato, proprio imbufalito: "Sembrava un'assemblea dell'Onu, fatta di distinguo diplomatici, di veti, di procedure". Una specie di "attrazione gravitazionale verso il passato". E cerca di consolarsi nella riunione dei dirigenti e degli amministratori democratici di sabato scorso a Milano: "Un'altra musica, una classe dirigente vera, che nessuno al centro sembra capace di valorizzare. Per carità, niente caminetti, ma proviamo almeno a mettere accanto ai leader storici chi rappresenta le poche esperienze politiche positive". Veltroni ha dato un segno con i commissariamenti, ma i commissari si mandano quando i piatti sono rotti per tentare di aggiustare le porcellane. Quando si può, bisogna far qualcosa prima, per evitare che se ne rompano altre, quelle che sono le più pregiate in casa. Con il Pd del Nord, dice la favola che oggi si narra qui. Velleitarismo nordista? Strategia personale del sindaco-star non ricandidabile nel 2011, che cerca di costruire il suo futuro? Delirio di onnipotenza per i sondaggi favorevoli? L'uomo sembra sinceramente strabiliato dalla sordità del suo partito rispetto alle questioni sostanziali: "Possibile che l'opposizione non colga l'enormità di Roma ladrona, dell'esenzione della Capitale passata alla destra del patto di stabilità, del regalo fatto dal governo Berlusconi di 500 milioni, a danno di tutti gli altri? Possibile che questa battaglia la debba fare io, coagulando anche le proteste legittime degli amministratori di destra?". Come il "Sì-Tav", una specie di partito nel partito del partito che Chiamparino propone in Val di Susa: liste comuni tra Partito democratico e Partito delle libertà per contrastare le liste civiche "No-Tav". "Sono d'accordo con Sergio", commenta asciuttamente Enzo Ghigo, capo del Pdl in Piemonte, che potrebbe essere il candidato della destra alla successione nella carica di sindaco di Torino. Ma da Roma Walter, destinatario di lettere-appello, tace. Il "Sì-Tav" sarebbe il definitivo sganciamento da quel poco che resta della sinistra radicale. Meno disponibili di Ghigo i democratici: tra il sindaco autonomo che vive di sua luce nazionale e i vertici locali del partito la diatriba eterna non è proprio sopita, nonostante le recenti rassicurazioni. "Mister 75 per cento" ha sempre un occhiuto censore nel "PEC", acronimo che designa i leader locali del Pd: Roberto Placido, Stefano Esposito e Carlo Chiama. Bazzecole. Solo gelosie politiche, dicono. Nessuna questione immorale, almeno, a sinistra rispetto a Firenze, dove il sindaco Leonardo Domenici ha dovuto affrontare l'onta delle intemperanze verbali sue e di alcuni dei suoi rivelate dalle intercettazioni della magistratura. "Qui la casa è di vetro", garantisce Chiamparino, anche se la premiata ditta Ligresti è al lavoro come a Firenze e in ogni altra città d'Italia per esitare il suo cemento. Il progetto ligrestiano, i cui denari sponsorizzano la prima del Regio, è nell'area chiamata "Borsetto", ma la crisi, per fortuna, ha rallentato il pressing edificatorio. Se mai c'è la grana "Gerbido", la quinta grande opera pubblica italiana aggiudicata nel 2008. Si tratta di un inceneritore da 360 milioni per il quale ha vinto l'appalto, con aziende delle cooperative rosse, la Termomeccanica Ecologia, che i concorrenti francesi hanno contestato. Al vertice della cordata vincitrice siede Enzo Papi, ex dirigente Cogefar, il cui nome ricorderanno i cultori di Mani Pulite, associato a quello di Primo Greganti, che fu tra gli arrestati da Antonio Di Pietro per le tangenti a Dc, Psi e Pci. Tornato oggi sulla scena, Greganti non è certo tra i supporter del sindaco torinese. "Io i poteri forti li vedo in sedi istituzionali nell'interesse dei poteri deboli e così sicuramente non mi appesto se li tocco", solfeggia Chiamparino. Vicini vicini, nel salone d'onore della Crt con mezzo establishment cittadino, sussurrano continuamente il sindaco e il banchiere, Chiamparino e Profumo. Pochi in sala s'interrogano sui "territori". Quasi tutti invece lo fanno sul destino del Partito democratico e, se esisterà ancora, sulla sua leadership. Chiamparino non nega, a chi glielo chiede, di dire che se si perdono le elezioni europee, ma soprattutto amministrative, del prossimo giugno "tutti a casa". E si sarà persa l'ultima spiaggia per recuperare quel che resta dei partiti storici e condurli dalla democrazia dei partiti alla democrazia dei cittadini. L'evoluzione che ha capito Berlusconi e che interpreta purtroppo rozzamente in senso populistico. Magari nasceranno una cosa bianca con Casini e un pezzo del Pd e una cosa rosa con l'ex Pd-Pds-Pci e pezzi cattolici, con un imprinting postcomunista e non riformista-socialdemocratico. E allora il sindaco dice che lui non sarà della partita. Magari non farà il sociologo, ma forse il manager di una super-multiutility che dovrà inevitabilmente nascere nel Nord. Il banchiere, che votò alle primarie Pd, sistemate le non lievi questioni "subprime" che l'hanno assediato, dice agli intimi di voler optare per il volontariato. Ma chissà che, in un'inversione di ruoli con il sindaco, non pensi al volontariato politico. E la lista, dalla Sardegna al Piemonte, s'allunga.
Torino, il Pd del Nord sfida Roma"Qui una classe dirigente vera"
di ALBERTO STATERA
TORINO - Duettano sintonici come Castore e Polluce Sergio Chiamparino e Alessandro Profumo nel salone d'onore della Cassa di Risparmio di Torino. Duettano su "I territori del sistema Italia", accompagnati da dotte disquisizioni sulle classi dirigenti locali del professor Aldo Bonomi. Un "assist" politico, nella scelta del tema territoriale, offerto dall'amministratore delegato di Unicredit a "Mister 75 per cento", il sindaco che dopo otto anni di governo della sua città cresce di 15 punti in popolarità (fonte "Il Sole-24 Ore") rispetto ai voti ottenuti l'ultima volta, salvando solitario l'onore del suo partito. O viceversa? I poteri forti bancari non godono al momento di gran salute, non è come quando Massimo D'Alema li incontrò da star a Sesto San Giovanni, ex roccaforte della classe operaia. I poteri deboli del Partito democratico sono proprio allo stremo, in un pantano, tra oligarchie, correnti e veti reciproci, che rasenta la tafazziana (dal Tafazzi, quello che si martellava con una bottiglia le parti sensibili) sindrome autodistruttiva. I "territori" sono forse la via della rigenerazione per sconfiggere i fantasmi del "partito mal riuscito" (copyright Massimo D'Alema), secondo "Mister 75", che vagheggia il Partito Democratico del Nord (Pdn). Incompreso da quelli che definì "vertici distanti e inadeguati", ma incoraggiato longitudinalmente dagli amministratori di centrosinistra - e sono ancora tanti - dal Friuli alla Liguria, con in mezzo pezzi forti come Massimo Cacciari a Venezia e Filippo Penati a Milano.
Sfida da poker estremo, quasi disperato, un Pd del Nord, cioè il partito di un partito che nei fatti ancora non c'è e che forse non ci sarà mai e di un Nord che non c'è e forse non ci sarà mai. Lombardoveneto, Regno Sabaudo, terzo e quarto capitalismo. Nord-Est, Nord-Ovest, postfordismo ed economia liquida dei servizi. In un'accelerazione dei promotori locali d'impronta federalista che, se ci sarà, porterà forse altri voti alla Lega, difficilmente al Pd. Prendete Alitalia e Malpensa, la partita provinciale un po' ottusa della Lega varesina, che a destra e a sinistra replicano pedissequamente anche le borghesie milanesi ad uso di manager incapaci imposti dal potere bossiano. Credete forse che Torino o Venezia tifassero per Malpensa in nome di una solidarietà nordista? Per carità. Chi se ne cale qui della Malpensa, con quarantacinquemila cassintegrati a Torino, non portabagagli aeroportuali ma aristocrazia operaia metalmeccanica, con Sergio Marchionne che, trovato il partner estero (il padrone?), nel 2010 lascerà insalutato ospite la Fiat, dopo aver deciso cosa vuol fare da grande. Con le casse degli enti locali vuote, in nome del federalismo parolaio della Lega, che di aiuti come quelli elargiti a suo tempo per la Fiat non ne possono più dare. Ma Chiamparino ci prova: basta con la giungla dei cacicchi romani - perché sono anche lì, soprattutto lì - ci vuole un colpo di reni del Partito democratico fatto di centralismo ("non aggiungo democratico", ridacchia al richiamo togliattiano) e, al tempo stesso, di massimo possibile decentramento, rispetto a una paralisi del Pd in cui nessuno è in grado di far passare una linea perché tutti detengono inappellabili poteri di veto. Circostanza non prevista o ben sottovalutata soltanto pochi mesi fa quando Walter Veltroni, proprio qui a Torino nella "Sala gialla" del Lingotto, luogo simbolo della "working class", si pose come campione del "problem solving". Dopo la sconfitta elettorale di aprile, i problemi irrisolti, non solo del paese, ma del partito neonato, hanno ammorbato la casa come un gas venefico. "Mister 75" va speranzoso a Roma alla riunione di direzione e ne esce non arrabbiato, proprio imbufalito: "Sembrava un'assemblea dell'Onu, fatta di distinguo diplomatici, di veti, di procedure". Una specie di "attrazione gravitazionale verso il passato". E cerca di consolarsi nella riunione dei dirigenti e degli amministratori democratici di sabato scorso a Milano: "Un'altra musica, una classe dirigente vera, che nessuno al centro sembra capace di valorizzare. Per carità, niente caminetti, ma proviamo almeno a mettere accanto ai leader storici chi rappresenta le poche esperienze politiche positive". Veltroni ha dato un segno con i commissariamenti, ma i commissari si mandano quando i piatti sono rotti per tentare di aggiustare le porcellane. Quando si può, bisogna far qualcosa prima, per evitare che se ne rompano altre, quelle che sono le più pregiate in casa. Con il Pd del Nord, dice la favola che oggi si narra qui. Velleitarismo nordista? Strategia personale del sindaco-star non ricandidabile nel 2011, che cerca di costruire il suo futuro? Delirio di onnipotenza per i sondaggi favorevoli? L'uomo sembra sinceramente strabiliato dalla sordità del suo partito rispetto alle questioni sostanziali: "Possibile che l'opposizione non colga l'enormità di Roma ladrona, dell'esenzione della Capitale passata alla destra del patto di stabilità, del regalo fatto dal governo Berlusconi di 500 milioni, a danno di tutti gli altri? Possibile che questa battaglia la debba fare io, coagulando anche le proteste legittime degli amministratori di destra?". Come il "Sì-Tav", una specie di partito nel partito del partito che Chiamparino propone in Val di Susa: liste comuni tra Partito democratico e Partito delle libertà per contrastare le liste civiche "No-Tav". "Sono d'accordo con Sergio", commenta asciuttamente Enzo Ghigo, capo del Pdl in Piemonte, che potrebbe essere il candidato della destra alla successione nella carica di sindaco di Torino. Ma da Roma Walter, destinatario di lettere-appello, tace. Il "Sì-Tav" sarebbe il definitivo sganciamento da quel poco che resta della sinistra radicale. Meno disponibili di Ghigo i democratici: tra il sindaco autonomo che vive di sua luce nazionale e i vertici locali del partito la diatriba eterna non è proprio sopita, nonostante le recenti rassicurazioni. "Mister 75 per cento" ha sempre un occhiuto censore nel "PEC", acronimo che designa i leader locali del Pd: Roberto Placido, Stefano Esposito e Carlo Chiama. Bazzecole. Solo gelosie politiche, dicono. Nessuna questione immorale, almeno, a sinistra rispetto a Firenze, dove il sindaco Leonardo Domenici ha dovuto affrontare l'onta delle intemperanze verbali sue e di alcuni dei suoi rivelate dalle intercettazioni della magistratura. "Qui la casa è di vetro", garantisce Chiamparino, anche se la premiata ditta Ligresti è al lavoro come a Firenze e in ogni altra città d'Italia per esitare il suo cemento. Il progetto ligrestiano, i cui denari sponsorizzano la prima del Regio, è nell'area chiamata "Borsetto", ma la crisi, per fortuna, ha rallentato il pressing edificatorio. Se mai c'è la grana "Gerbido", la quinta grande opera pubblica italiana aggiudicata nel 2008. Si tratta di un inceneritore da 360 milioni per il quale ha vinto l'appalto, con aziende delle cooperative rosse, la Termomeccanica Ecologia, che i concorrenti francesi hanno contestato. Al vertice della cordata vincitrice siede Enzo Papi, ex dirigente Cogefar, il cui nome ricorderanno i cultori di Mani Pulite, associato a quello di Primo Greganti, che fu tra gli arrestati da Antonio Di Pietro per le tangenti a Dc, Psi e Pci. Tornato oggi sulla scena, Greganti non è certo tra i supporter del sindaco torinese. "Io i poteri forti li vedo in sedi istituzionali nell'interesse dei poteri deboli e così sicuramente non mi appesto se li tocco", solfeggia Chiamparino. Vicini vicini, nel salone d'onore della Crt con mezzo establishment cittadino, sussurrano continuamente il sindaco e il banchiere, Chiamparino e Profumo. Pochi in sala s'interrogano sui "territori". Quasi tutti invece lo fanno sul destino del Partito democratico e, se esisterà ancora, sulla sua leadership. Chiamparino non nega, a chi glielo chiede, di dire che se si perdono le elezioni europee, ma soprattutto amministrative, del prossimo giugno "tutti a casa". E si sarà persa l'ultima spiaggia per recuperare quel che resta dei partiti storici e condurli dalla democrazia dei partiti alla democrazia dei cittadini. L'evoluzione che ha capito Berlusconi e che interpreta purtroppo rozzamente in senso populistico. Magari nasceranno una cosa bianca con Casini e un pezzo del Pd e una cosa rosa con l'ex Pd-Pds-Pci e pezzi cattolici, con un imprinting postcomunista e non riformista-socialdemocratico. E allora il sindaco dice che lui non sarà della partita. Magari non farà il sociologo, ma forse il manager di una super-multiutility che dovrà inevitabilmente nascere nel Nord. Il banchiere, che votò alle primarie Pd, sistemate le non lievi questioni "subprime" che l'hanno assediato, dice agli intimi di voler optare per il volontariato. Ma chissà che, in un'inversione di ruoli con il sindaco, non pensi al volontariato politico. E la lista, dalla Sardegna al Piemonte, s'allunga.
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