California a un passo dal cracLa forbice di Schwarzy sul welfare
«Non porto lo Stato alla rovina, è ora di mostrare cosa accadrà»
Dal nostro inviato Massimo Gaggi
NEW YORK - Un taglio sostanziale dell'assistenza ai poveri, agli anziani e ai disabili. Niente cure mediche per i bimbi senza assicurazione sanitaria. Meno fondi a una scuola pubblica già deficitaria. Via le borse di studio per gli studenti meritevoli. Via i «ranger» dai parchi dello Stato che diventeranno luoghi selvaggi. L'attore diventato governatore della California per anni si è portata dietro l'immagine del suo personaggio cinematografico più popolare: Terminator. Ora Arnold Schwarzenegger ha deciso di interpretarlo sul set della politica spingendo i parlamentari locali a votare un sostanziale smantellamento dello Stato sociale. L'ultimo tentativo di far fronte al crollo delle entrate fiscali causato dalla recessione, dopo che gli elettori hanno bocciato la soluzione (un mix di tagli e aumenti di tributi) varata dal suo governo. «La nuova rotta - protestano le organizzazioni dei disabili, - è quella del darwinismo sociale: sopravvivenza garantita solo a chi è in buona salute».
Schwarzy è impazzito? Forse no, c'è del genio nella sua follia. E i progressisti di tutto il mondo faranno bene a tenere d'occhio quello che accade in California, il posto dove «il futuro succede prima». Non sapendo più come mantenere in piedi una costosa rete di protezione sociale con le entrate fiscali che continuano ad assottigliarsi e col termine per il riequilibrio del bilancio (fine luglio) che si avvicina, il governatore vuole far scoppiare le contraddizioni politiche. Ma vuole anche costringere i cittadini a toccare con mano le conseguenze del loro voto. La prima bufera è scoppiata a sinistra: i sindacati, che in California sono molto più forti che nel resto degli Usa e sono decisivi per l'elezione dei parlamentari democratici, hanno chiesto ai loro rappresentanti di colmare il gigantesco deficit dello Stato con un aumento di 44 miliardi di dollari delle tasse sui ricchi, sul tabacco e sulle compagnie petrolifere.
L'Assemblea di Sacramento (a maggioranza democratica) non ha, però, alcuna intenzione di adottare questa ricetta. «Con un'economia in terapia intensiva, altre tasse provocherebbero nel paziente un arresto cardiaco»: lo dice il leader dei repubblicani, Sam Blakeslee, ma lo pensano anche molti democratici. Perfino quelli della sinistra radicale hanno spiegato ai leader delle «union» che non si può fare finta di nulla quando gli elettori bocciano i referendum sugli aumenti delle tasse, compresi quelli sponsorizzati dai sindacati degli insegnanti e della polizia, i più influenti dello Stato. Insomma, anche la sinistra comincia a rassegnarsi all'idea che un ridimensionamento delle reti di protezione sociale sia inevitabile. Cerca, però, di limitarlo al minimo con vari espedienti, compreso il ricorso a nuovi debiti. Ma la California è già indebitatissima e, senza la garanzia federale, i nuovi prestiti arriverebbero con tassi d'interesse molto alti.
Così Schwarzenegger punta i piedi: «Non porto la California alla rovina: è ora di tagliare davvero le spese e mostrare ai cittadini (che chiedono meno Stato) cosa succede quando si chiude bottega». La sua mossa crea scompiglio tra i democratici, ma dovrebbe far venire i brividi anche ai progressisti europei, alle prese con problemi di finanziamento del «welfare» meno gravi ma non radicalmente diversi. La resa dei conti, però, potrebbe non avvenire solo a sinistra. Terminator è un animale politico anomalo: un repubblicano cresciuto nel fronte reaganiano antitasse che si è poi alleato coi democratici e ha rilanciato una serie di programmi di intervento pubblico, ben diversi dallo «Stato minimo» della destra conservatrice. Oggi, con la sua «follia», fa emergere un altro paradosso: i deputati repubblicani che chiedono meno tasse, meno Stato, meno assistenza, sono eletti soprattutto in quella Central Valley agricola, molto più povera delle metropoli della costa, che assorbe assistenza pubblica in misura superiore a Los Angeles e San Francisco. Può darsi che, messi davanti alle conseguenze sociali del loro voto «antitasse», anche gli smantellatori del «welfare» vengano assaliti dai dubbi.
Schwarzenegger è un improvvisatore. È ruvido e spregiudicato. Magari alla fine accetterà un compromesso su tagli meno traumatici, ricorrerà al credito o avrà un aiuto da Washington. Ma oggi con la sua durezza sta imponendo una feroce «operazione verità» all'intero sistema politico californiano e ai suoi cittadini. Per la prima volta arriva al pettine il nodo - da molto tempo evocato - dell'impossibilità di sostenere un «welfare » generoso se l'economia non cresce non per difficoltà momentanee, ma per una crisi strutturale. Oggi succede sulle coste del Pacifico, domani potrebbe accadere su quelle del Mediterraneo.
Schwarzy è impazzito? Forse no, c'è del genio nella sua follia. E i progressisti di tutto il mondo faranno bene a tenere d'occhio quello che accade in California, il posto dove «il futuro succede prima». Non sapendo più come mantenere in piedi una costosa rete di protezione sociale con le entrate fiscali che continuano ad assottigliarsi e col termine per il riequilibrio del bilancio (fine luglio) che si avvicina, il governatore vuole far scoppiare le contraddizioni politiche. Ma vuole anche costringere i cittadini a toccare con mano le conseguenze del loro voto. La prima bufera è scoppiata a sinistra: i sindacati, che in California sono molto più forti che nel resto degli Usa e sono decisivi per l'elezione dei parlamentari democratici, hanno chiesto ai loro rappresentanti di colmare il gigantesco deficit dello Stato con un aumento di 44 miliardi di dollari delle tasse sui ricchi, sul tabacco e sulle compagnie petrolifere.
L'Assemblea di Sacramento (a maggioranza democratica) non ha, però, alcuna intenzione di adottare questa ricetta. «Con un'economia in terapia intensiva, altre tasse provocherebbero nel paziente un arresto cardiaco»: lo dice il leader dei repubblicani, Sam Blakeslee, ma lo pensano anche molti democratici. Perfino quelli della sinistra radicale hanno spiegato ai leader delle «union» che non si può fare finta di nulla quando gli elettori bocciano i referendum sugli aumenti delle tasse, compresi quelli sponsorizzati dai sindacati degli insegnanti e della polizia, i più influenti dello Stato. Insomma, anche la sinistra comincia a rassegnarsi all'idea che un ridimensionamento delle reti di protezione sociale sia inevitabile. Cerca, però, di limitarlo al minimo con vari espedienti, compreso il ricorso a nuovi debiti. Ma la California è già indebitatissima e, senza la garanzia federale, i nuovi prestiti arriverebbero con tassi d'interesse molto alti.
Così Schwarzenegger punta i piedi: «Non porto la California alla rovina: è ora di tagliare davvero le spese e mostrare ai cittadini (che chiedono meno Stato) cosa succede quando si chiude bottega». La sua mossa crea scompiglio tra i democratici, ma dovrebbe far venire i brividi anche ai progressisti europei, alle prese con problemi di finanziamento del «welfare» meno gravi ma non radicalmente diversi. La resa dei conti, però, potrebbe non avvenire solo a sinistra. Terminator è un animale politico anomalo: un repubblicano cresciuto nel fronte reaganiano antitasse che si è poi alleato coi democratici e ha rilanciato una serie di programmi di intervento pubblico, ben diversi dallo «Stato minimo» della destra conservatrice. Oggi, con la sua «follia», fa emergere un altro paradosso: i deputati repubblicani che chiedono meno tasse, meno Stato, meno assistenza, sono eletti soprattutto in quella Central Valley agricola, molto più povera delle metropoli della costa, che assorbe assistenza pubblica in misura superiore a Los Angeles e San Francisco. Può darsi che, messi davanti alle conseguenze sociali del loro voto «antitasse», anche gli smantellatori del «welfare» vengano assaliti dai dubbi.
Schwarzenegger è un improvvisatore. È ruvido e spregiudicato. Magari alla fine accetterà un compromesso su tagli meno traumatici, ricorrerà al credito o avrà un aiuto da Washington. Ma oggi con la sua durezza sta imponendo una feroce «operazione verità» all'intero sistema politico californiano e ai suoi cittadini. Per la prima volta arriva al pettine il nodo - da molto tempo evocato - dell'impossibilità di sostenere un «welfare » generoso se l'economia non cresce non per difficoltà momentanee, ma per una crisi strutturale. Oggi succede sulle coste del Pacifico, domani potrebbe accadere su quelle del Mediterraneo.
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